top of page
Cerca
Immagine del redattoreGabriele Deodati

IL CONDOMINIO PUÒ DECIDERE COSA NON SI PUÒ FARE NEGLI APPARTAMENTI?

Si sa, ciascuno a casa propria può fare quello che desidera, ma è davvero sempre così? Dipende.

Vi possono essere casi in cui il regolamento condominiale o il contratto originario impongono delle restrizioni alle facoltà inerenti al godimento della proprietà esclusiva, che tuttavia devono seguire delle regole di pubblicità determinate dalla legge.

Il caso di un asilo nido

Della questione si è recentemente occupata la Corte di Cassazione che ha preso posizione, con la sentenza n. 15222/2023, sulla delibera di un’assemblea condominiale che aveva vietato ad un proprietario di destinare ad asilo nido l’unità immobiliare di sua proprietà, locata alla ricorrente per uso, appunto, di asilo nido, ludoteca e centro per famiglie e bambini.

L’assemblea, in particolare, aveva invocato il divieto contenuto nel regolamento di condominio, finalizzato a impedire di “destinare gli appartamenti e gli altri enti dello stabile a uso diverso da quello figurante nel rogito di acquisto”.

La vertenza prima di giungere alla Suprema Corte aveva interessato la Corte d’Appello di Milano, la quale aveva respinto l’impugnazione contro la predetta delibera assembleare, sottolineando come il predetto articolo del regolamento condominiale doveva intendersi volto a vietare, costituendo “un vincolo di natura reale“, non solo il mutamento della destinazione d’uso degli alloggi rispetto a quanto configurato nei singoli rogiti di acquisto, ma anche l’esercizio di una serie di specifiche attività.

L’attività di asilo nido, quindi, avrebbe determinato sia un mutamento di destinazione d’uso sia l’adibizione dell’immobile ad attività vietate, essendo notorio che negli asili si canta e si svolgono attività didattiche rumorose.

Serve il consenso di tutti i condomini

La questione è dunque giunta avanti ai giudici della Corte di Cassazione che, nell’accogliere la domanda, hanno evidenziato come le restrizioni alle facoltà inerenti al godimento della proprietà esclusiva contenute nel regolamento di condominio, volte a vietare lo svolgimento di determinate attività all’interno delle unità immobiliari esclusive, costituiscono servitù reciproche e devono perciò essere approvate mediante espressione di una volontà contrattuale, e quindi con il consenso di tutti i condomini.

Per contro, la loro opponibilità ai terzi acquirenti, che non vi abbiano espressamente e consapevolmente aderito, rimane subordinata all’adempimento dell’onere di trascrizione del relativo peso.

Ne consegue che tali restrizioni sono operative quando sono enunciate nel regolamento in modo chiaro ed esplicito, dovendosi desumere inequivocamente dall’atto scritto, ai fini della costituzione convenzionale delle reciproche servitù, la volontà delle parti di costituire un vantaggio a favore di un fondo mediante l’imposizione di un peso o di una limitazione su un altro fondo appartenente a diverso proprietario.

Si valuta ogni caso

La Suprema Corte, pertanto, ha affermato che non basta un generico riferimento all’interno del regolamento ai pregiudizi che si intendono evitare, rinviando ad una successiva verifica, di volta in volta, per determinare ciò che sarebbe possibile fare o non fare all’interno del Condominio, in quanto il contenuto di un diritto reale, come la servitù, non può consistere in un generico divieto di disporre del fondo servente, precludendo così al singolo condomino ogni possibile mutamento di destinazione.

Sulla base del principio sopra riportato, gli Ermellini hanno rinviato la causa al Giudice di merito per novellare la relativa decisione.

Fonte immobiliare.it



4 visualizzazioni0 commenti

Comments


Post: Blog2 Post
bottom of page